Città circolari: dalle scelte sostenibili, nuove opportunità di sviluppo. La Commissione Europea ha stimato che dall’economia circolare si potrebbero creare 580 mila nuovi posti di lavoro, 190 mila solo nel nostro Paese. Una grande opportunità, che molte città sembrano pronte a cogliere.
Sostenibili e competitive, in una parola “circolari”. Le città, come tutta la nostra società, non hanno più scelta: il modello economico lineare, che prevede per ogni bene di consumo un ciclo di vita con un inizio e una fine, deve essere sostituito da un modello alternativo, che ha come parola chiave il riuso. Niente più rifiuti, ma beni e materiali che si trasformano in altri beni perché riciclati o rigenerati, riparati e riutilizzati. Indicazioni precise arrivano in questo senso dall’Unione europea: nel dicembre 2015 la Commissione ha varato il Circular Economy Package, un piano di azione globale che stabilisce degli obiettivi comuni per tutti i Paesi dell’Unione. Nel marzo scorso il pacchetto è stato approvato dal Parlamento europeo, che ha reso ancora più stringenti alcuni obiettivi. Secondo i deputati, entro il 2030 almeno il 70% in peso dei rifiuti urbani dovrebbe essere riciclato o preparato per il riutilizzo (la Commissione europea aveva proposto il 65%). Per i materiali di imballaggio, come carta e cartone, plastica, vetro, metallo e legno, si propone l’80% come obiettivo per il 2030 (contro il 75% proposto dalla Commissione). Il progetto di legge limita la quota di rifiuti urbani collocati in discarica al 5% entro il 2030 (contro il 10% proposto dalla Commissione). I rifiuti alimentari nell’UE sono stimati a circa 89 milioni di tonnellate, pari a 180 kg pro-capite annui. Rispetto al 2014, i deputati mirano a una riduzione dei rifiuti alimentari del 30% per il 2025 e del 50% entro il 2030. Il passaggio successivo saranno i negoziati con il Consiglio dei ministri UE per arrivare a un accordo finale.
L’Unione Europea indica con chiarezza che il tema dei rifiuti non debba più essere considerato settoriale ma vada sempre visto in modo sistemico. La scala di priorità è semplice: prima di tutto prevenire la produzione dei rifiuti e ridurne la pericolosità, progettando merci e servizi che impattino il meno possibile sull’ambiente. La logica è quella della prevenzione attraverso l’ecodesign delle merci, lo studio del loro ciclo di vita (life cycle assessment), le forme di certificazione che l’Unione ha sviluppato attraverso il Regolamento Emas, le Direttive Ecolabel e così via. Seconda priorità è massimizzare il recupero di materia dai rifiuti, ponendo quindi al centro il tema della raccolta differenziata e soprattutto del “porta a porta”. Infine, altra priorità è ridurre massicciamente il ruolo delle discariche di rifiuti, che nel mondo sono la seconda causa di generazione di gas che causano effetto serra. In generale, una città circolare è una città che diventa razionale nell’uso dell’energia, nell’utilizzo del verde e degli orti urbani. Una città che valorizza tutto quello che può dare qualità dell’ambiente, promuovendo al tempo stesso un’occupazione sempre più qualificata.
Ma non basta, perché l’implementazione della Circular Economy in ambito urbano può generare grandi risultati, in particolare se coniugata con le recenti tecnologie e funzionalità che stanno caratterizzando le nuove Smart Cities. “Una Smart City può essere intesa come una città o una comunità in cui le istituzioni pubbliche, i cittadini, il mondo delle imprese e quello della ricerca si alleano nello sforzo di migliorare la qualità della vita urbana, attraverso soluzioni integrate, sostenibili e tecnologicamente avanzate – spiegava ad Ecomondo il professor Gian Marco Revel dell’Università Politecnica delle Marche – Il necessario coinvolgimento di tutti gli assi secondo i quali possiamo declinare lo sviluppo intelligente, richiede un modello con cui ridefinire le modalità di crescita delle nostre società: l’economia circolare soddisfa pienamente questa esigenza”. “Il fatto che con essa si intervenga contemporaneamente sulle modalità di produzione e consumo, sul ciclo dei rifiuti, sulla necessità di creare un sistema di incentivi e disincentivi e di labelling implica il coinvolgimento diretto delle quattro eliche prima menzionate (istituzioni, cittadini, imprese e università-centri di ricerca), con effetti positivi su ambiente, economia (sia dal punto di vista della creazione di imprese che del mantenimento o della crescita dei livelli occupazionali), coesione sociale e qualità della vita”.
M.M.