Gli italiani sanno cos’è la green economy e nove su dieci la ritengono un driver di sviluppo; l’argomento sembra invece di scarso interesse per i leader politici, le cui dichiarazioni nei Tg hanno riguardato solo tre volte su cento temi di green economy: lo dicono due ricerche realizzate in occasione degli Stati Generali della Green Economy 2017.
Paese reale e politica, sulla green economy, sembrano seguire percorsi paralleli: da una parte i cittadini sono disponibili e pronti a realizzare una svolta verde, dall’altra i leader politici restano lontani da queste istanze, tanto che solo il 3% delle loro dichiarazioni fatte ai 7 TG nazionali tra gennaio e luglio di quest’anno ha interessato i temi della green economy (energie rinnovabili e risparmio energetico, cambiamenti climatici, riciclo dei rifiuti ed economia circolare, mobilità sostenibile, agricoltura di qualità ecologica, eco-innovazione e biodiversità). Quasi tutti i leader politici non hanno mai parlato di questi temi, tranne Renzi che ha dedicato uno spazio pari al 1% e il Premier Gentiloni al 7%. Nelle dichiarazioni dei politici in TV la parte del leone la fanno tre temi: politica interna (35%), immigrazione (16%) ed economia (13%).
Al contrario, invece, il 58% dei cittadini è ben informato sulla green economy e 9 italiani su 10 la ritengono un driver per lo sviluppo locale. Misure come quelle per il clima e l’energia (rinnovabili ed efficienza energetica) incontrano un consenso superiore al 90%. E, a dimostrare questa tendenza verso le misure green, ben il 64% degli italiani si dice disponibile a consumare energia 100% rinnovabile anche se costasse di più e 7 intervistati su 10 vorrebbero veder aumentare la diffusione dei prodotti biologici anche se dovessero spendere il 10% in più. Le misure per una mobilità più sostenibile godono di ampia popolarità (sempre intorno al 90%), le più gettonate sono quelle di mobilità ciclistica e anche il divieto di vendere auto a gasolio e a benzina entro 10 anni ha un consenso del 77%.
L’atteggiamento di politici e cittadini nei confronti della green economy emerge dai risultati di due ricerche, una dell’OSA-Osservatorio Sviluppo Sostenibile e Ambiente nei Media, nato dalla collaborazione tra l’Osservatorio di Pavia e Pentapolis, realizzata per la Fondazione per lo Sviluppo sostenibile “Le parole dei leader nei Tg prime time e su twitter e i temi di green economy” e l’altra “La green economy nelle città”, un sondaggio di Demetra opinioni, coordinato da Ketty Vaccaro del Censis, che verrà presentata agli Stati Generali della Green Economy 2017, a Ecomondo il 7-8 novembre prossimi. L’appuntamento di Rimini avrà al centro proprio un “Programma per la transizione alla green economy”, proposto dal Consiglio Nazionale della Green Economy alle forze politiche e ai candidati in vista delle prossime elezioni politiche.
Dunque i fatti meritano una risflessione: è davvero curioso, viene da pensare, che i politici dimostrino una così scarsa attenzione alla transizione ecologica. Perché la Green Economy assume sempre più il carattere di risposta migliore alla crisi economica, stando a quanto emerge dal recente rapporto GreenItaly 2017, redatto e promosso da UnionCamere, Fondazione Symbola in collaborazione con il CONAI e con il contributo di Ecopneus.
Stando ai dati contenuti nel rapporto il 13,1% (2 milioni 927 mila lavoratori) degli occupati attuali sarebbe dovuto ai “green jobs“, mentre nel solo anno in corso la Green Economy sarà responsabile per nuovi 318.010 nuovi impieghi (a cui se ne aggiungono ulteriori 683 mila se si considerano anche i ruoli per i quali sono richieste competenze “green”). Di questi oltre il 46% è con contratto a tempo indeterminato. La Regione nella quale vi è più richiesta di green jobs è la Lombardia (81.620, il 25,7% rispetto al dato nazionale), seguita da Lazio (35.080, 11%), Emilia Romagna (32.960, 10,4%), Veneto (30.940), Piemonte (24.340), Campania (17.680), Toscana (16.470), Puglia (14.300), Sicilia (12.250) e Liguria (9.300).
Inoltre il 27,1% delle imprese (335 mila) sarebbero riuscite a ripartire e a tornare competitive proprio grazie alla Green Economy. Picco tra le aziende nel settore manifatturiero (33,8%), dove la sostenibilità e le pratiche green si sono affermate come elemento strategico per il Made in Italy. Sale al 15,9% la quota di società che hanno investito o investiranno nell’economia “verde” nel 2017, per un +1,6% rispetto al 2011. Anche in questo caso è la Lombardia la Regione a più alta presenza green, con 63.170 imprese che hanno investito nella Green Economy. Seguono Veneto (35.370) e Lazio (30.020).
Positivo l’andamento dell’Italia anche sul fronte rifiuti, che con un volume generato di 41,7 tonnellate per ogni milione di euro di prodotto (-3 rispetto al 2008) è al vertice europeo. Ben oltre la Germania, che fa registrare 65,5 tonnellate. Secondo posto per le emissioni in atmosfera (101 tonnellate di CO2) dietro alla Francia (86,5) e davanti alla Germania (143,2). Positivo anche il bilancio sul fronte imballaggi: stando agli ultimi dati Eurostat l’Italia è il Paese europeo che dal 1998 al 2014 ha visto il maggior incremento di imballaggi avviati a riciclo (+4,4 milioni di tonnellate). Nel solo 2016 è stato avviato a riciclo il 67,1% degli imballaggi – in acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro – immessi al consumo in tutta Italia, per un totale di 8,2 milioni di tonnellate.
Nel settore degli imballaggi sono oltre 50 milioni le tonnellate di rifiuti avviate a riciclo negli ultimi 20 anni da CONAI e dai Consorzi di Filiera contribuendo alla crescita di un settore che conta oggi 6.000 imprese e 155.000 addetti e che ha continuato il suo trend positivo anche in periodo di recessione.
Questi i fatti. E allora è lecito domandarsi: perché, considerati questi numeri l’attuale miopia politica così generalizzata? E ancora, andrà meglio grazie all’iniziativa della proposta in 10 punti del Programma per la transizione alla green economy che sarà presentato agli Stati generali di Rimini del 7 novembre in vista delle prossime elezioni? Si potrà recuperare il ritardo e migliorare le proposte programmatiche dei candidati, migliorando così anche la qualità del confronto elettorale?
M. M.